imageVi ricordate le parole del Monni che interpretava il personaggio di Vitellozzo nel film di Roberto Benigni e Massimo Troisi,”Non ci resta che piangere”, “se finirò finirò come i’ babbo?…”. Ecco, parafrasando quelle parole, io, invece, se finirò non finirò come mio papà. Papà, prima di andare in pensione, ha lavorato tutta la vita come operaio in una falegnameria.Più che un falegname mio padre era ed è un’artista dalle mani magiche, un uomo che ha sempre fatto il suo lavoro con tanta passione perché il sottoscritto potesse studiare, e come diceva e sempre mi dice, non facesse la vita che ha fatto lui tra polvere, vernici e incazzature perché i conti non tornavano mai. A che se dall’oggi e domani perdessi il mio lavoro non potrei fare ciò che faceva papà.Purtroppo non ho ereditato le sue mani magiche e ciò che più so fare è soltanto prendere un libro in mano e studiare. Oggi, grazie ai sacrifici dei miei genitori, sono un avvocato, un avvocato che come altri della mia generazione, purtroppo, rischia di dover lasciare la professione. E non tanto e non solo per la grave crisi economica che sta colpendo, senza distinzione di sorta, trasversalmente tutti gli strati di popolazione in specie le classi più deboli ma soprattutto per l’iniquità di norme e regolamenti che non  creano le condizioni perché anche chi, come me, non ha avuto la sorte di nascere in una famiglia di professionisti possa, comunque, continuare a svolgere con impegno e professionalità il lavoro che ha sempre sognato. In questo Paese  si parla sempre di merito, di pari opportunità, di mobilità sociale.Ma  appunto, se ne parla senza mai praticarli. E mi chiedo che Paese sia quello in cui senza colpo ferire permette che centinaia di giovani colleghi siano costretti a cancellarsi  dall’albo professionale  non potendo più permettersi di pagare i minimi contributivi.Minimi contributivi che diventano proibitivi per chi ha la sfortuna di stare sotto al soglia dei 10.000 euro di reddito annui e ciò poiché  sono da corrispondersi non in proporzione al reddito ma in una somma fissa che, talvolta, è maggiore del reddito annuale del professionista. Vogliamo, in barba all’art.3 della Costituzione, che le professioni intellettuali  siano esercitate per censo o vogliamo continuare a perpetrare un sistema di società basato sulle caste e quindi o fai parte di una certa elite sin dalla nascita o sei fuori da tutto? E siamo sicuri che chi più guadagna è più competente, più bravo, più bello, più tutto? Se vogliamo possiamo continuare così con questo sistema, con queste norme, con queste regolamenti che creano soltanto disuguaglianza, possiamo dare ragione a Berlusconi che disse, e mi ricordo la faccia di papà, “il figlio di un operaio non può fare il professionista”, ma poi non venitemi più a parlare di merito, di mobilità sociale e di pari opportunità per tutti. Non venitemi più a parlare di Sinistra. E, comunque, state sereni: se finirò non finirò come i’ babbo.